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giovedì 18 dicembre 2014

La Consulta deciderà sui requisiti per rettificare il sesso Riattribuzione del genere anagrafico senza operazione né sterilizzazione

Poiché il tribunale competente dipende dalla residenza, ci si può trovare davanti un giudice che concede una nuova identità anche solo sulla base di trattamenti ormonali oppure un giudice che va addirittura a sindacare la qualità della ricostruzione plastica del fallo.

Secondo il collegio tridentino «l'imposizione di un determinato trattamento medico, sia esso ormonale ovvero di riattribuzione chirurgica del sesso, costituisce tuttavia una grave ed inammissibile limitazione al riconoscimento del diritto all’identità di genere». Sul fronte del diritto alla salute garantito dall’art. 32 Costituzione, il Tribunale osserva che «sia il trattamento ormonale sia la RCS, sono - notoriamente - molto rischiosi per la salute umana». Aggiunge, infine, che «una volta che lo Stato riconosce il diritto della persona a cambiare il proprio sesso anagrafico, subordinare l'esercizio di tale diritto alla sottoposizione della persona a dolorosissimi e pericolosissimi trattamenti sanitari dalla stessa non voluti, significa pretendere da lei di commettere un atto di violenza sul proprio corpo», concludendo con l’affermazione per cui «non sembra consentito al legislatore ordinario subordinarlo a restrizioni tali da pregiudicarne gravemente l'esercizio, fino a vanificarlo».

Testo completo
Comunicato stampa dell'associazione radicale Certi Diritti
Il testo dell'ordinanza

venerdì 5 dicembre 2014

#ddl405 in Italia è obbligatoria la sterilizzazione

Da "gli stati generali", L'articolo "Registrazione del cambio di sesso, in Italia è obbligatoria la sterilizzazione" di Angela Gennaro

Valeria è una donna. Donna si sente, come donna vive, ma sulla carta di identità resta il suo nome da uomo, Gino.Valeria non è più Gino, forse non lo è mai stata, ma quando degli agenti la fermano per un controllo, e lei fornisce le sue generalità femminili – perché questa, per Valeria, è la realtà – finisce in tribunale. L’accusa: false intestazioni sull’identità a pubblici ufficiali. Il risultato: una condanna di un anno di reclusione senza sospensione della pena. Succedeva sei anni fa a Taurisano, in Salento, ma accade al Nord come al Sud ancora oggi.
In Italia le persone transessuali vengono autorizzate al cambio dei dati anagrafici solo se hanno terminato un percorso che ha come risultato finale la loro sterilizzazione. Una sterilità non imposta per legge, come pure accade, ma di fatto: finché non è provata la sterilizzazione della persona, chirurgica o, in rari casi, medica, il cambio dati non viene autorizzato. Questo vuol dire passare 5, 6 anni o anche tutta la vita – nel caso in cui una persona non voglia operarsi – con dei documenti che non corrispondono più al proprio aspetto. La legge vigente, la 164/82, ha 32 anni. Un testo  “abbastanza vago, la cui interpretazione nei fatti è questa, fatta all’epoca come sanatoria per chi si era operato all’estero”, spiega Michela Angelini, promotrice di una petizione con oltre 8.300 firme su change.org per chiedere l’approvazione del ddl 405, “in materia di modificazione dell’attribuzione di sesso” assumendo “il sesso sociale al di sopra di quello genitale”. “In tutte le sentenze c’è scritto che la persona è probabilmente sterile per via del trattamento ormonale”, continua Michela. “Nella maggior parte degli Stati, invece, è consentito cambiare almeno il proprio nome quando muta l’aspetto”.
Il rapporto Lunacek su diritti LGBT in Europa, approvato a febbraio scorso, invita gli Stati membri a non procedere con azioni di sterilizzazione forzata. Transgender Europe, no profit che mette insieme una serie di organizzazioni per “la piena uguaglianza e l’inclusione di tutte le persone trans”, pubblica ogni anno la mappa di questa Europa spaccata a metà tra Paesi in cui è necessaria la rettificazione chirurgica dei genitali per portare a termine le pratiche amministrative per il cambio sesso sui documenti e Stati in cui le cose stanno in modo diverso. In Spagna, Portogallo, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Austria, Croazia, Bielorussia, Estonia e Svezia spesso basta un’autocertificazione. All’elenco si è aggiunta da poco la Danimarca, che permette il cambio di genere senza diagnosi clinica. La sterilizzazione “obbligatoria” vige in Italia Turchia, Francia, Belgio, Grecia ma anche Finlandia e Norvegia.
Michela Angelini è una donna nata maschio. “Vivo come donna da ormai tre anni e ho una relazione stabile con un ragazzo che ha fatto il percorso inverso al mio, da donna a uomo”, si legge nella sua petizione on line. “Abbiamo una vita tranquilla e felice finché non abbiamo necessità di utilizzare i nostri dati anagrafici”. Inevitabili, racconta, i problemi e le “continue violazioni della privacy”. “Io, come tante altre persone transessuali, non ho intenzione di subire mutilazioni genitali, perché sono in perfetta sintonia con il mio corpo attuale”. Quindi che fare, mentre ad ogni pagamento con carta di credito, ad ogni fattura emessa, ad ogni lavoro trovato e perso ci si trova a dover spiegare perché sui documenti c’è un nome maschile?
La politica dovrebbe dare una risposta, se non altro perché ormai obbligata da una sentenza della Corte Costituzionale, la 170. Succedeva ad agosto, nello stesso periodo in cui i giornali raccontavano la storia di Nicole, trans di Carrara morta a 37 anni, donna ormai da 17, vestita da uomo per il suo funerale per volere della famiglia. In quei giorni arrivava la pronuncia della Consulta sul caso del divorzio imposto a una coppia modenese, in cui il marito aveva cambiato sesso diventando una donna. I due avevano chiesto di mantenere in vita il loro legame e invece il matrimonio è stato annullato d’ufficio.
“La sentenza della Corte dice che la legge 164 è costituzionalmente illegittima laddove impone il divorzio tra i coniugi in caso di cambio di sesso di uno dei due senza prevedere che ci possa essere un’altra forma per continuare il rapporto anche sul piano delle tutele giuridiche”, spiega Sergio Lo Giudice, senatore in quota Pd e papà del disegno di legge 405 sul cambio sesso. Un disegno di legge per cui ha chiesto la calendarizzazione da quasi un anno, a marzo scorso. “Il punto è che si è fermato tutto”, tuona Alberto Airola, senatore pentastellato autore a sua volta di un altro disegno di legge sul tema, molto simile a quello del collega della maggioranza. “Confluiremo su un unico testo, troveremo un relatore, non molleremo”, continua. “La situazione però è di stallo: i diritti lgbt e civili sono temi troppo divisivi per la maggioranza”.
Il punto è che il vuoto di legge evidenziato dalla sentenza della Consulta rivela il nervo scoperto delle unioni civili. “La risposta alla Corte non può che essere legiferare su un nuovo istituto giuridico che riconosca anche i diritti di quella coppia il cui matrimonio viene annullato in seguito al cambio di sesso di uno dei coniugi”, dice ancora Lo Giudice. “Contemporaneamente c’è da rivedere la 164. Dopo la sentenza della Consulta esiste un’urgenza oggettiva”.
Con questo governo? “È evidente che c’è oggi un attacco formidabile da parte del centrodestra nei confronti di qualunque azione di contrasto alle discriminazioni omotransfobiche o di riconoscimento dei diritti delle persine LGBTI,  che loro definiscono con l’astrusa formula di ‘ideologia del gender’”, chiosa Lo Giudice. “Ma volere è potere: nel 1982 un governo democristiano e un parlamento a maggioranza di centrodestra ha approvato la 164 che allora era una delle leggi più avanzate del mondo in tema di cambio di sesso di persone transessuali. Stiamo portando in aula la proposta di legge sul divorzio breve che è stata approvata in Commissione Giustizia con un voto trasversale M5S e Pd contro il parere del centrodestra. Il mio partito in questo periodo fa fatica a votare compatto su tante cose. Ma alla fine, se si vuole, troveremo la via. Il punto è cominciare”.
“Il mio disegno di legge, insieme a quello di Lo Giudice, sono cruciali nella questione culturale e politica per uscire dal medioevo”, chiosa Alberto Airola. “La situazione culturale è peggiorata e fa fede l’attacco della Cei e di una parte della politica di estrema destra fa a diritti lgbt, strumentalmente: non si capisce come dare diritti ad una famiglia gay li tolga ad una famiglia etero”. Da regolamento del Senato l’opposizione, ogni due mesi, può presentare e far discutere un ddl. “Fino ad oggi ce lo hanno sempre negato”, sostiene Airola. “Ma finalmente per mercoledì hanno calendarizzato il reddito di cittadinanza. Userò questo strumento per chiedere anche io di calendalizzare il ddl sul cambio sesso. Ma dovrebbe essere la maggioranza a farlo: è a causa sua che si affossa il percorso legislativo di questa legge”.

venerdì 28 novembre 2014

Gloria e la multa per falsi nominativi

Valeria (qui il post) non è la sola ad essere stata condannata per aver comunicato il suo nome femminile ad un fermo di polizia.


Gloria ci racconta: "mi e' successa una cosa simile poco prima di transferirmi definitivamente in Inghilterra nel 1996. Ero in macchina con dei conoscenti, la polizia ci ha fermati, mi hanno chiesto come mi chiamavo, ho dato il mio nome al femminile, poi la polizia mi ha controllato la borsa e hanno trovato il mio documento. Era abbastanza imbarazzante perché le persone con cui stavo non sapevano che sono una trans. E' scattata la denuncia per ''falsi nominativi'', niente galera ma ho dovuto pagare una multa di 1 milione e mezzo di lire (quando c'era ancora l'euro). E' una vergogna ancora nel 2014 che le persone trans in Italia non riescono ancora a cambiare un pezzo di carta che crea tantissimi problemi su tutto".


Gloria ha pagato una multa salata per 
aver tentato di difendere la sua 
privacy e questo non è giusto


Ricordiamo che in Italia è ancora vigente il regio decreto 773 del 1931, che punisce chi altera o camuffa il proprio aspetto esteriore, reato di cui può ancora oggi essere imputata una persona transessuale.

La politica non può stare a guardare, occorre subito approvare il ddl405 o, quantomento, consentire alle persone transessuali di cambiare il proprio nome con uno coerente al proprio genere d'elezione facendo una deroga alla legge 396/2000, in attesa dei tempi legislativi. 

giovedì 13 novembre 2014

città del messico: cambio di genere per via amministrativa

Anche Città del Messico ha approvato una risoluzione che permetterà il cambio di nome e sesso solamente per via amministrativa e, su falsariga della legge Argentina, nessun intervento medico o chirurgico sarà richiesto per adeguare il certificato di nascita. 
La legge è stata ritenuta da alcuni parlamentari ed associazioni troppo blanda per quanto riguarda la protezione da malattie sessualmente trasmissibili e per il sostegno economico da parte dello stato alla transizione ma, per questo, è stata promessa un'implementazione delle politiche di accesso alla sanità per la salvaguardia della salute delle persone transgender.

La precedente legge, che prevedeva gli stessi step legali di quella italiana, è stata approvata nel 2008. Ottenere la nuova identità aveva un costo di circa 60000 pesos (3500 euro) per le spese mediche e legali. Tale procedimento non era economicamente sostenibile per una grande fetta di popolazione transgender messicana. Da oggi sarà molto più facile per le persone transgender integrarsi, trovare lavoro, procedere nella carriera universitaria, passare alle frontiere e vivere alla luce del giorno e, anche in caso di arresto, lo stato non potrà più negare le terapie ormonali prima negate perché cross-sex.


"Oggi è un giorno di lutto per la misoginia e la transfobia a Città del Messico. Ora è necessario approvato dal governo federale una legislazione simile. Circa un anno le persone transgender della città avrà una nuova realtà, ma le sorelle ei fratelli di altri stati del paese non hanno accesso ai documenti".  

Gloria Hazel Davenport, attivista e consulente del Centro Nazionale per la prevenzione e il controllo dell'HIV / AIDS


fonti e approfondimenti:

1
2
4


Città del Messico ha fatto in soli 6 anni quel che 
l'Italia non è ancora riuscita a fare in 32.

martedì 4 novembre 2014

difendere la propria identità costa 1 anno di carcere

LECCE - Condannata per aver difeso la sua identità femminile. All’anagrafe è registrata come Gino. Ma ai poliziotti ha detto di chiamarsi Valeria. Gli agenti, però, non hanno voluto sentire ragione. Ed una trans è finita in un’aula di tribunale per aver reso false attestazioni ad un pubblico ufficiale sull’identità. Il processo si è concluso con una sentenza di condanna: Gino Ciurlia, alias Valeria, 30 anni, di Taurisano, (cittadina del Sud Salento) deve scontare un anno di reclusione senza la sospensione della pena.

leggi l'articolo completo

Viviamo nel paradosso a causa di una legge ingiusta. 

LO STATO ANDREBBE DENUNCIATO PER TRANSFOBIA LEGALIZZATA E LE PERSONE TRANS DOVREBBERO ESSERE RISARCITE PER QUANTO SUBITO NEGLI ULTIMI 30 ANNI.

STOP 164. È ORA DI FARE UNA NUOVA LEGGE

firma la petizione

lunedì 3 novembre 2014

dai commenti alla petizione: ho firmato perché..

Perché mi sembra una violenza che un uomo o una donna deva mutilarsi per cambiare il suo sesso nell'anagrafe. Una legge così è da anni che dovrebbe essere stata revocata. maria josé carrazoni
 Perché trovo una tutela sia per lo stato che per il cittadino che i documenti vengano adattati alla persona , per evitare danni a se e a terzi . Ed evitare a tutti molti disagi legato a questo problema. Tobias Pellicciari
E' importante il diritto all'integrazione senza alcuna sorta di differenza in base all'orientamento sessuale o di genere. E' inaccettabile che una persona transessuale viva alienata per impossibilità ad accedere al mondo del lavoro o per paura di uscire di casa e di essere vittima di violenze verbali o fisiche. E' ora di educare questa popolazione alla civiltà e al rispetto dei diritti inviolabili della persona, di ogni persona Giuseppe De Carlo




Firma la petizione


venerdì 10 ottobre 2014

Lettera: Richiesta di celere discussione ed approvazione del ddl405, norme in materia di modificazione dell'attribuzione di sesso


Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri Dott. Matteo Renzi

Sig. Presidente del Senato della Repubblica Dott. Pietro Grasso

Sig. Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani Dott. Luigi Manconi

Sig.ra consigliera in materia di pari opportunità Dott.ssa Giovanna Martelli

Sig. Presidente della Commissione Giustizia al Senato Dott. Nitto Palma

Ai componenti della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica
Oggetto: Richiesta di celere discussione ed approvazione del ddl405, norme in materia di modificazione dell'attribuzione di sesso

Sig. Presidente del Consiglio dei Ministri,

Le associazioni ed i collettivi firmatari della presente si rivolgono a lei per richiedere una legge che consenta alle persone transessuali di assicurarsi nome e sesso coerenti al proprio vivere sociale e per impedire qualsiasi intervento genitale su bambini nati con condizione intersex/DSD.
I firmatari di tale documento ritengono sia indispensabile una modifica della 164/82 che abroghi l'attuale iter giudiziario per la rettifica di nome e sesso anagrafici, in favore di un più snello e gratuito iter amministrativo che ponga il sesso sociale al di sopra di quello genitale, perché questa oggi è l'interpretazione più consona alla società italiana ed europea. Sentiamo forte, inoltre, la necessità di uniformare su tutto il territorio nazionale i percorsi, perché diverse sono le impostazioni delle regioni dal punto di vista dei servizi alle persone transessuali e diversi sono gli orientamenti dei tribunali nell'interpretare la sopracitata legge 164/82.


Attualmente occorrono anni per poter ottenere la rettifica di nome e sesso, anni in cui il solo mostrare un documento è motivo di esclusione sociale e lavorativa e motivo di continua violazione della privacy: ci si trova costretti e costrette a dover spiegare la discrepanza tra documenti ed aspetto a datori di lavoro, ad impiegati di negozi, banche e poste, all'iscrizione a qualsiasi corso, associazione o alla stipula di qualsiasi tipo di contratto e persino alle urne prima del voto. Troppe sono le persone transessuali che per questo motivo faticano a trovare lavoro, una casa in affitto e troppe sono le persone transessuali che per mettersi al riparo dalla transnegatività evitano situazioni che le obblighino ad esporsi: la discriminazione nei confronti delle persone transessuali, secondo un sondaggio ISTAT1, è sentita dall'80% dei cittadini.
L'Italia è uno dei paesi dell'unione Europea che, secondo la Trans Right Europe Map di TgEu2, costringe le persone transessuali (ed intersessuali) alla sterilizzazione per poter accedere alla riassegnazione del sesso.
Una modifica della legge 164/82, che renda possibile il cambio anagrafico senza la necessità di affrontare chirurgie mutilanti, è auspicata anche da Amnesty International3, in accordo con il rapporto Lunacek4 redatto dal Parlamento europeo.
Siamo concordi con Marco Perolini, esperto in materia di discriminazioni di Amnesty International quando afferma: “vi sono persone transgender che intendono usufruire dei trattamenti medici disponibili, ma molti altri non vogliono. Gli stati non dovrebbero forzare le scelte delle persone transgender facendo dipendere il riconoscimento legale della loro identità di genere da interventi chirurgici, trattamenti ormonali o sterilizzazioni - molte persone transgender devono superare enormi ostacoli prima di conciliarsi con la loro identità e i problemi aumentano a causa di una manifesta discriminazione di stato - Gli stati devono assicurare che le persone transgender possano ottenere il riconoscimento legale della loro identità di genere attraverso una procedura veloce, accessibile e trasparente nel rispetto di ciò che la singola persona sente rispetto alla propria identità di genere, proteggendo il diritto alla riservatezza ed evitando d’imporre requisiti obbligatori che violino i diritti umani”5. A quanto appena descritto si aggiungono le sentenze di alcuni tribunali italiani (Roma, Rovereto, Siena), che hanno disposto il cambio di nome e sesso anagrafico in assenza di chirurgia genitale.

Per i motivi sopra esposti e per garantire dignità, inserimento sociale e uguaglianza tra tutti i cittadini, chiediamo che il disegno di legge 405, norme in materia di modificazione dell'attribuzione di sesso, venga presto calendarizzato nella Commissione Giustizia del Senato e trasformato in legge.

Ringraziamo per quanto potrà essere fatto per favorire il rispetto dei diritti delle persone transessuali ed intersessuali e per il contrasto dell'omo-trans-negatività, ancor oggi imperante in Italia.

Inviamo i nostri migliori saluti, in attesa di una cortese risposta.

Gruppo promotore DDL405 – disegnodilegge405.blogspot.it
Maurice GLBTQ
Coordinamento trans Sylvia Rivera
Mit- movimento di identità transgender
Associazione Consultorio Transgenere
Sat. Pink – Sportello Accoglienza Trans Verona
Sportello Trans Ala Milano Onlus
ATN – Associazione Transessuale Napoli
ONIG - Osservatorio Nazionale sull'Identità di Genere
Associazione Radicale Certi Diritti
Arcigay - associazione LGBT italiana
Arcilesbica associazione nazionale
Equality Italia - Diritti. Energia per l'Italia
Plus Onlus
Amnesty International
Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford
Rete Genitori Rainbow - genitori LGBT con figli/e da relazioni eterosessuali
A.GE.D.O. - Associazione Genitori Di Omosessuali
Polis Aperta - associazione LGBT appartenenti alle Forze Armate e alle Forze dell'Ordine
Aven Italia
Circolo di cultura omosessuale - Mario Mieli
Stonewall - associazione d'iniziativa GLBT di Siracusa
Di'Gay Project – DGP
Mondo Arcobaleno LGBT
Circolo culturale Harvey Milk
Coordinamento Torino Pride
Ireos - Centro Servizi Comunità Queer Firenze
Arcigay “Tralaltro” Padova
Arcigay “Marcella di Folco” Salerno
Intersexioni
Anguane – Collettivo Anarco- Queer Ecovegfemminista
DeGender Communia
Contronatura - collettivo anarcofrocio
Fondazione GIC - Genere Identità Cultura
SInAPSi - Servizi per l'inclusione attiva e partecipata degli studenti – Univ. Napoli
Be Free Cooperativa Sociale contro tratta, violenze e discriminazioni

Per aderire scrivere a disegnodilegge405@gmail.com


scarica la lettera in formato pdf



1 La popolazione omosessuale nella società italiana – 17 maggio 2012
2http://www.tgeu.org/Trans_Rights_Europe_Map
3 In Europa le persone transgender subiscono discriminazione e trattamenti disumani e degradanti – 04/02/2014
4http://www.unar.it/unar/portal/?p=2084
5http://www.arcigay.it/comunicati/rapporto-lunacek-italia-legiferi-per-i-diritti-delle-persone-trans/

sabato 23 agosto 2014

diritti in punto di morte

 Non può che provocare amarezza la richiesta delle associazioni trans in risposta al trattamento disumano che Nicole, prematuramente scomparsa all'età di 37 anni, ha dovuto subire per imposizione dei parenti: "una legge che tuteli le scelte delle persone transessuali in punto di morte".

 Nicole, che come tante persone transessuali, non è stata accettata come donna dai genitori e, come tante persone transessuali, nonostante vivesse come donna da quasi due decenni, a causa di una legge obsoleta e da sempre interpretata in modo restrittivo, per lo stato era ancora uomo e con un nome maschile.

 Nicole ha avuto problemi, sempre per via dei documenti non coerenti alla sua persona anche durante la malattia perché si è imbattuta in ospedali dove il personale non voleva vedere oltre il nome scritto sulla carta d'identità. Nicole avrà avuto anche problemi, come tutte le persone transessuali, durante tutta la sua vita con documenti non corretti. Come si può ridurre tutto il calvario di Nicole ad una richiesta di "diritti in punto di morte"?

Nicole avrebbe potuto redigere un testamento presso un qualsiasi notaio, pretendendo un rito consono alla propria persona e qualunque persona amica avrebbe potuto pretendere il rispetto delle sue volontà. A 37 anni, però, non si pensa a certe cose e comunque il nome legale di Nicole, quello che in forza di legge compare nei certificati e sulla lapide, non sarebbe comunque stato Nicole: Nicole per lo stato non è mai esistita.

Se Nicole fosse stata legalmente una donna di nome Nicole sarebbe stata lei a parlare in forza di legge, tanto durante il ricovero ospedaliero, quanto durante il funerale, nonostante qualsiasi irrispettosa ed ingiusta pretesa dei genitori. 

Nel rispetto di Nicole e di tutte le persone trans* italiane auspico che le associazioni smettano di proporre paliativi per ogni attrito che l'avere documenti difformi causa. Spero che questo ultimo soppruso possa servire per mettere a fuoco la radice del problema: l'impossibilità di avere documenti e il conseguente riconoscimento legale della propria persona.


Un grazie, invece, alle 30 persone che hanno liberato palloncini in segno di protesta e in memoria di Nicole. Solo grazie a loro Nicole ha potuto ricevere quel saluto, rispettoso e sincero, che nessuna comunità civile o religiosa dovrebbe negarci.










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sabato 9 agosto 2014

Dai commenti alla petizione

Dai commenti alla petizione:

E' importante che il cambio anagrafico per le persone transessuali non dipenda da un giudice ma solo da una propria decisione: avere un'identità 
legale coerente con il proprio aspetto è un diritto. Chiedo, inoltre di vietare di intervenirechirurgicamente sui genitali dei neonati intersessuali non è un bisturi che determina il divenire uomini 
o donne, ma la propria natura. 
Crescere esprimendosi liberamente
è un diritto (Rosetta).
 perche' le persone sono tutte "persone "
senza distinzioni libere di indirizzarsi
dove meglio si collocano (Gloria).

martedì 5 agosto 2014

Ordinaria transfobia di stato: all'ufficio anagrafe

"Vicenda particolare quella avvenuta all’Ufficio Anagrafe del Comune di Sorrento, dove una persona si era recata per avere un nuovo documento d’identità: per lo Stato Italiano è una donna, ma esteriormente è in tutto e per tutto un uomo, con tanto di barba. Poiché non è ancora intervenuta la sentenza con cui si dà atto del cambiamento di sesso e si dispone il nuovo nome dell’individuo, si è posto il problema di quale sesso indicare sul documento.
Per risolvere il problema è intervenuto il dirigente responsabile del servizio di stato civile, il quale ha spiegato di aver fatto ricorso alla legge numero 164 del 1982, la quale riconosce il sesso di transizione, ossia quello stato in cui si trova una persona che sia ancora in percorrenza dell’iter al termine di cui conseguirà il cambio di sesso".

Fonte: il mattino


Questa "vicenda particolare", che è parte integrante della vita di molte persone che leggono questo blog, denota come anche gli impiegati dell'ufficio anagrafe trovino assurda la situazione imposta dalla 164/82, la quale non riconosce nessun sesso di transizione, ma impone di ignorare qualsiasi cambiamento fisico finché un giudice non si pronuncia sull'avvenuta sterilità della persona richiedente.

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venerdì 18 luglio 2014

Diritti Civili in Italia.

Il sen. Sergio Lo Giudice parla di diritti civili in Italia al Politicamp:





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Segnalo anche una petizione partita quando il PD ha deciso di non calendarizzare la legge sul doppio cognome nonostante fosse già stata discussa in commissione qui il testo di legge e la possibilità di invare la propria firma alla presidente della camera Laura Boldrini.

mercoledì 16 luglio 2014

l'università Urbinate protegge la nostra privacy

Le persone trans* anche a Urbino (come in altri atenei) da oggi hanno la possibilità di richiedere un'identificativo interno all'università coerente con il proprio aspetto, a tutela della loro privacy. La stessa privacy potrà essere violata, a norma di legge, appena usciranno dal portone della facoltà cui sono iscritt*, dal momento in cui cercheranno una stanza in affitto, a quando dovranno abbonarsi ai mezzi pubblici per raggiungere l'università, fino a tutte quelle occasioni in cui dovranno comunque mostrare un documento di identità a qualcuno. In Italia non mancano punte di civiltà, come questa e come tante altre, ma non basta per proteggere la nostra privacy e metterci al sicuro dalle discriminazioni. Fino a quando non saranno corretti, al momento giusto e gratuitamente, i documenti di identità emessi dallo stato e fino a quando non saranno previste norme valide su tutto il territorio italiano a tutela delle persone trans*, ogni altra manovra resterà un secchiello datoci in mano per svuotare una barca bucata piena d'acqua: è un aiuto, certo, ma il rischio di affondare resta.


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COMUNICATO STAMPA DEL 16 LUGLIO 2014
L’Università di Urbino tutela gli studenti in situazione di riattribuzione di sesso
Il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, con delibera n. 133 dell’8 luglio 2014, ha riconosciuto all’unanimità il diritto di studenti e studentesse in situazione di riattribuzione del sesso, ai sensi della legge 164/1982, ad avere un doppio libretto universitario.
L’iniziativa si colloca a favore di studenti e studentesse, spesso costretti a giustificare il cambiamento di nome e di apparenza, costringendoli a uscire dalla loro privacy non solo in sede d’esame, ma anche durante le banali attività universitarie giornaliere quali l’accesso alla biblioteca e alla mensa, la presentazione di una candidatura, la riscossione di borse di studio etc.
Un notevole passo in avanti nella tutela del diritto allo studio e della privacy durante il lungo periodo necessario al “mutamento di genere” che spesso dura anni e può coincidere con la carriera universitaria.
In questo modo, studenti e studentesse possono condurre più serenamente la vita universitaria senza che la loro privacy venga violata e senza sottoporsi a situazioni imbarazzanti e umilianti che potrebbero determinarne l’abbandono degli studi.
Una scelta di rispetto. Libretto, tessere e documenti universitari sono veri e propri documenti di identità che accompagnano giornalmente studenti e studentesse all’interno dell’Ateneo. Dover troppo spesso giustificare in pubblico la diversità tra l'identità scelta e quella anagrafica costringe lo studente o la studentessa a rivelare un dato intimo e privato e a volte anche a subire il pregiudizio e la chiacchiera facile, se non la violenza psicologica o fisica. Non sempre l'ambiente che si frequenta è infatti pronto ad accogliere con garbo e rispetto situazioni e scelte di vita diverse dal consueto.
Riconoscere questo diritto a studenti e studentesse durante il periodo di riattribuzione del sesso equivale a riconoscere la loro realtà ma soprattutto a rispettarne la vita privata e il diritto allo studio.
La nuova procedura. Dopo un’attenta verifica degli aspetti normativi e legali, all’interessato o all’interessata verrà fornita un’identità “Alias” che potrà essere utilizzata esclusivamente nelle normali attività Universitarie quotidiane, mentre tutta la documentazione amministrativa rimarrà immutata fino alla definitiva sentenza del tribunale.
Alcune procedure, tuttavia, non potranno essere espletate con l’identità “Alias” come ad esempio: procedura Erasmus, trasferimento di sede, proclamazione di Laurea, titolo di Dottorato etc. ma saranno condotte nel completo rispetto e tutela della privacy degli interessati/e.

lunedì 14 luglio 2014

Alessandro Comeni, attivista intersessuale


Dal canale video di interseϰioni, intervento di Alessandro Comeni, attivista intersessuale, alla primavera Queer 2014: Prima Queer Week dell'Università G. D'Annunzio, organizzata dal Collettivo La Mala Educacion e dal Laboratorio Le Antigoni, 28 aprile e dal 5 al 9 maggio, Univ. G. D'Annunzio (Chieti).



"la medicina dice che io sono incompatibile con la vita"

"sto benissimo, però sono socialmente inaccettabile"

"siamo sottoposti ad aborto terapeutico"

"abbiamo diritto di esistere, di nascere"

Il DDL405 impone lo stop delle chirurgie genitali sui neonati intersex, che non basta a far si che la loro identità sia accettata e rispettata, ma è comunque un'importante tutela per un gruppo di persone che non ha alcun diritto all'autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita. Firma la petizione http://goo.gl/BFjLxD

domenica 13 luglio 2014

La mia amica trans discriminata in ospedale

Ci risiamo. Ancora una volta una donna è stata ricoverata in un reparto maschile perché i documenti la denunciano come persona transessuale. Se ognuno avesse i documenti coerenti con il proprio aspetto sarebbe prassi il ricovero nel reparto femminile per una donna transessuale - sta poi all'ospedale decidere se concedere o meno la camera singola - ma certe violazioni della privacy sarebbero evitate. Essere transessuali sarà una questione di dominio pubblico al lavoro, in banca, a scuola, alla posta, nei seggi, al supermercato, in palestra, in ospedale finché non avremo diritto ad avere documenti coerenti al nostro aspetto.  

Firma la petizione http://goo.gl/BFjLxD

martedì 8 luglio 2014

Leda, che dopo il divorzio è diventata donna. Ma non sui documenti

Tamara Ferrari, sul suo blog melanova di vanityfair, racconta la storia di Leda:

«Per una vita mi sono sentita malata, un mostro. Ho cercato in tutti i modi di reprimermi e, sbagliando, ho pensato di costruirmi una vita come tutti gli altri. A 28 anni, pur non avendo mai avuto fino ad allora alcun tipo di relazione sentimentale, mi sono sposata, e mi sono ritrovata a far cose che il mio corpo aborriva, dovevo comportarmi da uomo ma il mio corpo non se la sentiva». Leda ha 48 anni. Per tutta la vita ha vissuto da uomo, pur sentendosi donna dentro. «La pressione sociale era forte, e quando ero adolescente non c’era Internet, non c’erano le possibilità di informarsi che ci sono oggi. Sono cresciuta sentendomi “sbagliata”. Solo dopo l’avvento della rete ho cominciato a capire. Facendo ricerche online ho scoperto che non ero l’unica. E mi sono resa conto che non potevo più mentire a me stessa e agli altri».
«Da un anno sto facendo le terapie ormonali, il mio corpo è già cambiato, ho perso molti chili, mi vesto e vivo da donna», racconta, «Ma sulla carta d’identità c’è ancora il mio nome da uomo perché la legge attuale prevede il cambio dell’identità sui documenti solo dopo l’intervento chirurgico per cambiare sesso». Poi precisa: «O meglio, la legge non parla di operazione, ma i giudici hanno sempre applicato l’interpretazione più restrittiva, così oggi in Italia cambi nome sui documenti solo dopo che ti sei operata, e la burocrazia è lunghissima. Ma questo non è giusto».
«Non si può “obbligare”una persona ad operarsi, l’intervento non è
una passeggiata, molti non possono permetterselo a causa delle loro condizioni di salute»
«Io ci ho messo tanti anni prima di accettare me stessa per quello che ero», racconta Leda, «Da giovane stavo male, mi sentivo sbagliata. A 21 anni sono andata in terapia, dopo due anni la psicologa è riuscita a farmi ammettere che mi sarebbe piaciuto essere una ragazza, ma non è andata oltre, forse perché non era preparata. Vent’anni fa non era mica come oggi!».
Dopo le nozze, ha avuto due figli. «Ma il matrimonio non funzionava, lo mandavamo avanti solo per amore dei ragazzi e per motivi economici», racconta Leda, «Nel frattempo, all’insaputa di mia moglie ho ripreso a frequentare delle sedute terapeutiche, poiché stavo troppo male, e piano piano ho acquistato consapevolezza di me. E lì è stato un dramma, perché non sapevo più che cosa fare. C’era una moglie, c’erano dei figli, c’erano delle responsabilità. Ma c’era anche la vera me stessa che premeva per uscire fuori. Alla fine è arrivato il momento in cui non sono più riuscita a nascondermi, mia moglie ha scoperto tutto e c’è stata la separazione, traumatica».
Leda è andata a vivere da sola, in un paesino in provincia di Savona. Era preoccupata per i suoi figli: «Non volevo che subissero il trauma di vedere il loro padre diventare donna». E per il suo lavoro: «Sono camionista. Ho continuato a lavorare, ma nel frattempo, dopo aver iniziato le cure ormonali, il mio corpo ha cominciato a cambiare, ho perso sette chili. Il mio datore di lavoro se n’è accorto, ho dovuto raccontare quello che mi stava succedendo. Mi sono resa conto di quanto in Italia ci sarebbe bisogno di professionisti che aiutino i datori di lavoro ad affrontare i casi come il mio. Ci vorrebbe un osservatorio, che aiuti entrambe le parti ad affrontare il problema».
E poi c’è la questione dei documenti. «Io, per ora, l’ho risolta andando in comune e facendo mettere sulla carta d’identità la mia foto attuale. Così, anche se c’è il mio nome da uomo, nell’immagine si vede che sono una donna. Con questo escamotage finora non ho avuto problemi. Certo, sarebbe meglio se finalmente potessi chiamarmi Leda anche sui documenti. Per questo chiedo anche io che la legge venga modificata, e che venga fatto in fretta».

martedì 1 luglio 2014

Antonia al Milano Pride

Antonia Monopoli, al Milano Pride, legge un estratto del mio scritto per il Roma Pride "la condizione trans in Italia oggi"




Firma la petizione http://goo.gl/BFjLxD

Transgender & Lavoro, Catania Pride 2014




PERCHÉ UN VIDEO?
Ho lanciato la proposta di fare un video sul lavoro per parlare di esperienze che tutte le persone transessuali vivono quotidianamente, perché è importante che le persone transessuali tornino soggetto del discorso e riprendano a parlare di sé, in un paese dove queste vengono quasi esclusivamente nominate come oggetto del lavoro altrui. Il percorso di transizione in Italia è estremamente rigido e fatto di tappe fisse difficilmente eludibili: oggi la persona transessuale è prima di tutto “utente”, che si rivolge a strutture convenzionate e psicologi e psichiatri per avviare il percorso di transizione. Poi diventa “assistito” di un qualche avvocato che dovrà accompagnarla a più udienze per le istanze di autorizzazione all'intervento chirurgico prima, di rettifica dei dati anagrafici poi. Infine è "paziente” di medici chirurghi ed endocrinologi non sempre sufficientemente competenti.
In Italia ci sono numerose associazioni che annoverano tra i loro membri avvocati, medici, psicologi e psichiatri, soggetti che parlano di quella persona oggetto del loro lavoro “il transessuale”, non raramente con cadute transfobiche. Le stesse persone, spesso, pretendono di aver voce in capitolo riguardo alle modifiche delle attuali norme e consuetudini che regolano il percorso di transizione o l'accesso al lavoro, anche se rari sono quei professionisti che conoscono le reali problematiche delle persone che stanno dietro al termine transessuale.
Quando c'è qualcuno che lavora c'è anche qualcuno che paga: si paga lo psicologo, il cui supporto psicologico, secondo le linee guida ONIG, deve essere precedente alla relazione che permette l'inizio della terapia ormonale e durare non meno di quattro - sei mesi. Essendo la sanità regionale, spesso ci si trova a dover pagare l'endocrinologo perché non in tutte le ASL il servizio è dispensato gratuitamente alle persone transessuali e allo stesso modo funziona per gli esami di controllo e per le terapie ormonali, in barba all'uguaglianza tra cittadini. Si pagano gli interventi chirurgici, pena liste d'attesa lunghe 4 o 5 anni. Si pagano anche avvocato e spese legali, a meno che non si possa accedere al gratuito patrocinio e si paga anche quel medico, chiamato a redigere una consulenza tecnica sul percorso di transizione su ordine del giudice (che potrebbe accontentarsi delle relazioni dei professionisti che seguono la transizione della persona interessata), che può costare anche migliaia di euro.
Intanto gli anni passano, i documenti non sono conformi al proprio aspetto, e si devono affrontare: esclusione, mobbing sul lavoro, licenziamenti, impossibilità di accedere al lavoro.

STATISTICHE E TUTELE
Non esistono statistiche che indichino con chiarezza quante sono le persone transessuali disoccupate in Italia, ma non dovremmo stupirci, del resto non esistono nemmeno studi ideati per sapere quante sono le persone trans* in Italia, anche se, indicativamente, vengono solitamente stimate tra le 30 e le 50 mila persone.

I dati più recenti riguardanti la condizione lavorativa delle persone transessuali nel nostro paese sono quelli della ricerca “io sono io lavoro”, pubblicata da arcigay nel 2011, che prende a campione la popolazione LGBT, dove la componente T è di appena 51 persone transessuali, che hanno risposto di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro nel 45% dei casi e di aver perso il lavoro a seguito del coming out nel 25%. Di queste 51 persone transessuali non sappiamo nulla riguardo a che lavoro svolgevano, da quanto tempo, che età hanno o in che città risiedono. A seguito della ricerca è stato redatto un manuale per operatori e mediatori in ambito lavorativo che interagiscono con persone LGBT.
Un'altra indagine che si trova online è quella svolta dal Saifip di Roma sui pazienti che si sono riferiti alla struttura tra il 1992 e il 2012: circa il 10% era laureato, il 63% aveva un lavoro e il 10-17% studiava ancora. Il 22,5 era disoccupato. Molti, secondo i dati, vivevano in famiglia o con un partner. Non sappiamo i dati estrapolati dai Saifip a che periodo del percorso di transizione si riferiscano, ma probabilmente si tratta del momento della presa in carico, quindi pre-transizione, perché generalmente le strutture che si occupano di persone transessuali raccolgono i dati in quel momento.

Volendo dare uno sguardo alla situazione oltre confine, ed avendo potuto ascoltare la testimonianza diretta di una persona che si è trasferita a Londra, ho deciso di dare uno sguardo alla situazione inglese: Secondo il GIRES, Gender Identity Research and Education Society (2011) l'1% dei lavoratori britannici ha un qualche grado di varianza di genere e di questi lo 0,2% potrebbe avviare la transizione. Nel 2011, nel Regno Unito, sono stimate 7500 persone transgender e transessuali.
Nel 2006 l'associazione press for change, ha svolto uno studio dove sono state prese in considerazione 86000 email inviate all'associazione, 16000 post della mailing list inglese FtM, 872 risposte ad un questionario compilabile online da persone transessuali (rispetto al questionario di io sono io lavoro, è stato consultato un campione 17 volte maggiore per una popolazione 5 volte inferiore). Dai primi due sono stati estrapolati dati qualitativi, per capire chi è la popolazione transgender inglese, dal terzo dati statistici numerici. Dai dati raccolti, delle persone che hanno transizionato al lavoro, risulta che il 29% si è sentito offeso con commenti verbali (tra gli abusi verbali è stato considerato anche il solo chiamare per nome), dato che era al 38% secondo una stima di sei anni prima. Il 19% ha cambiato lavoro, l'8,5% non è stato promosso a causa della transizione, il 18% si è in qualche modo sentito escluso dal lavoro. Lo studio è critico verso le misure prese in difesa delle persone transessuali, perché dai dati giudicate non sufficienti.

In Italia è appena uscita la guida UNAR “diritti al lavoro”, che riporta i dati della sopracitata ricerca arcigay. Credo sia fuori luogo presentare la guida con “Lavoro, omosessuali e trans 'pagano' la crisi”, perché dobbiamo considerare che dal 2011 ad oggi l'inasprimento della crisi economica ha ragionevolmente aumentato il numero di disoccupati e che quando c'è crisi i lavoratori considerati “meno desiderabili”, e tra questi figurano sicuramente quell* transgender, sono i primi ad essere lasciati a casa. Che ne è dei dati sulla disoccupazione degli ultimi 3 anni?
Anche in questo caso, come per quella sopracitata del 2011, la guida è dedicata alla popolazione LGBT e non alla popolazione transessuale, anche se dai dati estrapolati dallo studio “io sono io lavoro” è chiaro che c'è un divario enorme di discriminazione tra la popolazione gay e quella transessuale, ma ad oggi c'è un'unica legge, il d.lgs. 216/2003, che vieta le discriminazione diretta o indiretta basate sulla religione, le convinzioni personali, l’handicap, l’età o l’orientamento sessuale, dove le persone transessuali, discriminate per l'identità di genere, dovrebbero essere comprese nelle discriminazioni per orientamento sessuale.

Nettamente migliore è la guida redatta da ALA Milano Onlus nel 2011, aggiornamento di una precedente del 2004 di Crisalide Azione Trans onlus, ideata sia per le persone transessuali che lavorano, sia per i datori di lavoro di queste. Qui si trovano informazioni mirate alle esigenze delle persone transessuali, come la possibilità di avere un identificativo interno all'azienda in cui compare il nome del genere scelto al posto di quello anagrafico, con una semplice autocertificazione che permetta al datore di lavoro di dimostrare che si tratta della stessa persona, sollevandolo così da qualsiasi accusa di falsificazione e permettendo di rispettare la privacy della persona trans che non ha ancora ottenuto il cambio anagrafico. La guida, che si chiama buone prassi, detta anche una serie di regole da seguire per il rispetto della persona trans, dall'uso dei pronomi corretti all'uso del corretto spogliatoio.
Volendo dare uno sguardo al panorama inglese, solo con una ricerca con google si trovano numerose guide al lavoro dedicate alle sole persone transessuali, esiste una legge a protezione dell'identità di genere ma, sopratutto, esistono precise prassi prestabilite, figure professionali correttamente formate e organi dedicati in caso una persona transgender venga discriminata.

CHI SONO LE PERSONE TRANSGENDER PER IL DATORE DI LAVORO?
Le persone transgender, e tra queste voglio includere anche persone maschio effeminate o persone femmine mascoline, eterosessuali o omosessuali, sono persone soggette a stigma perché attivano tutti i preconcetti e i pregiudizi in fatto di omosessualità e transessualità nella mente del datore di lavoro o di chi ci si trova davanti durante un colloquio. La gente non valuta orientamento sessuale o identità di genere, ma l'aderenza alle aspettative di genere, quanto la persona che si trovano davanti sia diversa dall'idea di uomo o donna che hanno, e che in genere è binaria e stereotipata, come stereotipata è l'idea di persona transessuale che hanno. All'atto del colloquio di lavoro una persona transessuale che non accende campanelli d'allarme nell'esaminatore sarà probabilmente meno discriminata di un uomo molto effeminato. Una donna transessuale che ha effettuato l'operazione genitale ma mantiene qualche carattere mascolino sarà comunque più identificabile, e quindi discriminabile, di una donna che non si è sottoposta ad interventi ma ha già un aspetto che non desta sospetti.

I datori di lavoro hanno un grande alleato che rende impossibile non dichiararsi transessuale durante o dopo un colloquio di lavoro: lo stato. Ad oggi non è possibile cambiare i documenti, o il solo nome, fino ad avvenuta modificazione dei caratteri sessuali, il che è interpretato dai giudici come avvenuta sterilizzazione chirurgica, con o senza chirurgia di riconversione del sesso. Questo equivale a dire che, tra tempi medici, della giustizia, delle liste d'attesa negli ospedali passano 4 – 6 anni come minimo. Nel video Cristian, che vive al maschile da 5 anni, non ha ancora potuto ottenere l'identità maschile, con i problemi che questo comporta. Attualmente alcuni giuristi stanno cercando, con la campagna un altro genere è possibile, di permettere il cambio del sesso e del nome anagrafico senza intervento chirurgico, ma resterebbero comunque i tempi tecnici, comunque di anni, in cui ci si trova a dover convivere con documenti difformi e con tutto quel che questo comporta.

AL COLLOQUIO

Passare” significa non avere tratti del proprio apparire che lascino pensare a chi ci è davanti che siamo transessuali. Ci sono persone che “passano”, tendenzialmente quelle che sono in terapia ormonale già da uno – due anni, ci sono persone che “non passano”, perché non sono ancora trascorsi i tempi tecnici o perché, in maggioranza capita alle MtF, nonostante la terapia ormonale vengono mantenuti tratti che fanno scattare il campanello d'allarme al datore di lavoro, anche in caso queste si siano già sottoposte all'RCS e quindi con i documenti corretti. È il caso di Barbara X, scrittrice, (potete vedere  l'intervista completa di cui ho inserito un estratto nel video), che ha dovuto inventarsi un lavoro, perché trovarne uno le era impossibile. Non esiste alcuna legge che pensi alla discriminazione che queste persone subiscono nella ricerca del lavoro e nella vita quotidiana. Nessuno pensa che la transfobia non sia altro che una barriera architettonica mentale molto diffusa, e che sia indispensabile abbatterla, perché ci siano pari opportunità per tutti.

Presentarsi ad un colloquio di lavoro con i documenti difformi significa partire già con uno stato d'animo ansioso: me li chiederanno subito? E se me li chiedono che faccio? Che dico?
Alcune persone, per eccesso di correttezza o perché mal consigliate, scrivono il nome anagrafico sul curriculum corredato da foto e dichiarazione di transessualità. Esperienza insegna che conviene omettere i particolari se si vuol presenziare ai colloqui.
Anche nascondendo il proprio status è possibile che i documenti li chiedano subito, per questioni burocratiche. Personalmente mi ci son trovata più volte e il colloquio assume una piega bizzarra: si finisce a parlare di transessualità e non di lavoro o competenze e l'immancabile “le faremo sapere” arriva troppo presto rispetto ai programmi immaginati.
Però capita anche di riuscire ad arrivare al colloquio, superarlo e poi vedersi chiedere i documenti quando l'assunzione è ormai intascata. Così ho avuto il mio lavoro di promoter. L'esaminatore non mi ha chiesto i documenti, ma lo ha fatto l'azienda inviandomi il contratto di collaborazione già corredato di tutte le giornate che dovevo svolgere in più punti vendita: ormai non avevano scuse.
Mi è anche capitato, dopo aver superato 3 colloqui per una grossa agenzia di previdenza che cercava assicuratori ed esser stata titolata come “la persona che stavamo cercando”, di essere costretta a fare coming out da “praticamente assunta” e di non essere più richiamata: la scusa per mandarmi via e non richiamarmi è stata che dovevano “verificare” che la discrepanza con i documenti mi permettesse l'iscrizione all'albo. Avrei potuto denunciare, andare in tribunale a raccontare quanto è successo e quindi chiedere di poter accedere al corso, al periodo di prova e all'eventuale assunzione quando avessi superato i primi due step. Anche avessi vinto, che clima ci sarebbe stato in azienda nei miei confronti se la decisione è stata di non prendermi in quanto transessuale? Quante possibilità avrei avuto di superare il corso e il periodo di prova e di essere poi assunta dati questi presupposti? E se non avessi vinto il ricorso? Avrei anche dovuto pagare le spese processuali?
C'è un'altra possibilità: lavorare in nero. Ho fatto la baby sitter e l'assistente anziani in questo modo. Nessuno chiede i documenti, nessuno sa che sei transessuale e l'accesso al lavoro ha lo stesso grado di difficoltà e di sfruttamento richiesto alle persone non transessuali.
Mi sono anche rivolta al centro per l'impiego, dove però mi hanno iscritta con il nome maschile, perché quello è il mio nome legale, dove non è stato possibile inserire da nessuna parte il nome che mi rappresenta, dove a causa dell'invio di una comunicazione mezzo posta che non è mai arrivata, essendoci sul campanello un nome diverso, sono stata cancellata dalle liste di disoccupazione.

CHI GIA' UN LAVORO CE L'HA
Io sono laureata in medicina veterinaria, ho svolto la libera professione per 3 anni prima della transizione, avevo il mio regolare timbro con su scritto nome e codice fiscale. Io sono cambiata ma il mio timbro non può cambiare. Ad ogni prescrizione o fattura dichiarerei la mia condizione di persona transessuale, dovrei firmare ogni singola prescrizione o certificato con un nome maschile. Dovrei avere solo clienti per i quali avere una veterinaria transessuale non è un problema e io curavo cavalli, ambiente in cui il solo essere donna è motivo di svalutazione.
Lavoravo a partita iva, essendo nei fatti dipendente, che è forse la peggiore situazione, perché non esiste alcun vincolo contrattuale, chi fa ufficialmente la libera professione è teoricamente un lavoratore non dipendente ma, quando nei fatti è subordinato, può essere cacciato da un momento all'altro senza alcuna spiegazione. Ho abbandonato il lavoro per motivi estranei alla transizione e credo avrei avuto buone possibilità di mantenere il lavoro, perché mi ero ormai conquistata un posto importante nella “gerarchia” della clinica dove lavoravo. Questo mi fa riflettere riguardo quanto la discriminazione aumenti tanto più si è alla base della gerarchia lavorativa: disoccupati, operai, commessi, lavoratori autonomi si trovano a pagare uno scotto più alto di chi ha conquistato posizioni occupazionali più specifiche e più difficilmente sostituibili.

Ci sono persone che, per paura di perdere il lavoro, vivono due vite, una sempre più improbabile vita coincidente a quella del sesso scritto sui documenti, quando si lavora, una vita da sé stessi quando non si lavora, con la costante paura di incrociare qualcuno che possa riconoscerci, qualcuno che possa dirlo all'azienda. A volte è l'azienda che impone questo diktat - mantieni il dressing code e il comportamento di genere che voglio io o te ne vai. Spesso le persone transessuali si trovano a dover accettare compromessi per mantenere il lavoro: una scrivania più defilata, presentarsi al lavoro con i panni congruenti al nome legale, anche se il risultato è grottesco, accettare turni più duri, paghe più basse, accettare di essere oggetto di scherno da parte di colleghi o persino dei superiori.

Chi lavora nelle forze dell'ordine sa bene che non si può fare coming out, pena il licenzamento, essendo la transessualità ancora classificata come patologia mentale e quindi motivo d'esclusione da compiti che richiedano l'uso di armi da fuoco.
Il caso di Stefania Pecchini, poliziotta transessuale di Milano, il giorno del coming out a lavoro è stato sottoposto dal comandante al prefetto, per capire se questo fosse motivo di esclusione dal lavoro. Trovando un prefetto di larghe vedute non ha avuto problemi a mantenere il suo posto.
Ad un poliziotto di Asti non è andata altrettanto bene, nel 2007 è stato visto in abiti femminili, durante il suo tempo libero, sottoposto ad azione disciplinare e licenziato, perché il suo comportamento esibizionista poteva arrecare disonore all'arma. Quest'anno è stato stabilita la revisione all'azione disciplinare, giudicata come abuso di potere, ma la persona, che oggi è in terapia ormonale, non è stata riammessa a lavoro.
Anita, napoletana, ex appuntato della Guardia di Finanza, al momento del coming out si è vista proporre il trasferimento, come civile, al Ministero delle Finanze, ma ha rifiutato e chiesto un risarcimento di un milione di euro per il licenziamento. In un video Anita messa in pensione anticipata per "inabilità al servizio militare" spiega che alle persone transessuali è vietato l'accesso ai concorsi militari, quindi hanno applicato questa regola in modo retroattivo, pur essendo in servizio da 22 anni.

MOBBING
Il sopracitato d.lgs. 216/2003 contro le discriminazioni per orientamento sessuale esteso anche alle persone transgender, è rivolto a chi ritiene di essere discriminato sul lavoro, che può quindi rivolgersi al giudice perché quest’ultimo faccia cessare il comportamento discriminatorio. Sta al datore di lavoro dimostrare che non è così. Nel caso in cui il Giudice riconosca che un lavoratore LGBT è stato discriminato in ragione del suo orientamento sessuale o della sua identità di genere ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio e, se sussistenti, la rimozione degli effetti. Il Giudice, se richiesto può anche condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno anche non patrimoniale, e per impedire che la discriminazione venga ripetuta può anche ordinare un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.

Una persona transessuale che si trova sottoposta a mobbing deve prima di tutto sopportare, perché per la legge italiana il mobbing è tale se dura almeno sei mesi. Parlando di persone transessuali bisogna sottolineare che chi transita è quasi sempre sottoposto a forti pressioni perché gli affetti, famiglia ed amici, devono elaborare ed accettare la nuova situazione, si inizia a vivere nei panni desiderati prima che gli ormoni arrivino al loro massimo effetto (2 – 3 anni di trattamento), quindi si è più soggetti ad episodi di transfobia perché l'aspetto può essere androgino. Proprio in questo periodo di forte stress emotivo si deve anche sopportare il mobbing. Trascorsi sei mesi, dati alla mano, la persona mobbizzata può denunciare il datore di lavoro o i colleghi di lavoro ed avviare un procedimento durante il quale sta alla parte accusata dimostrare di non aver discriminato il lavoratore. Il giudice dovrebbe rimuovere la causa del mobbing ed eventualmente stabilire un risarcimento danni per la persona transessuale, ma gli avvocati lamentano che non ci sono denunce di discriminazioni sui luoghi di lavoro fatte da persone transessuali. Perché?
In Italia la maggioranza delle aziende sono medio piccole ed è proprio il datore di lavoro il primo a discriminare. Il datore di lavoro spesso semplicemente non rinnova il contratto o con la scusa della crisi manda a casa la persona più scomoda. Anche qualora ci fossero palesi segni di discriminazione affrontare un procedimento giudiziario, con tutto lo stress che comporta in un periodo già di per sé stressante, la paura di perdere la causa, il peso di affrontare un'altra causa, oltre quella per l'autorizzazione all'intevento e, magari, a quella di separazione, la certezza di dover comunque cercare un altro lavoro fanno desistere. Sul posto di lavoro la persona transessuale deve sopportare, essere la migliore per essere trattata da mediocre, perché al primo errore, con la prima scusa sa di poter essere cacciata e pur di mantenere il lavoro si è disposti a perdere qualche diritto, a fare qualche ora in più, perché il percorso costa ed è per la transizione che si rischia di finire in mezzo ad una strada.

ALL'UNIVERSITÀ
L'età media di transizione, che oggi si aggira attorno i 40 anni, sta calando perché sempre più giovani hanno gli strumenti che fino a pochi anni fa non c'erano per informarsi, capirsi e trovare esperti competenti che aiutino a fare chiarezza. Giovani che spesso studiano, anche minori, spesso con storie di bullismo alle spalle, che non sopportano l'idea di poter affrontare una transizione sociale a scuola e che per questo motivo abbandonano gli studi. Nelle università, grazie ad alcune associazioni e studenti è stato introdotto il doppio libretto, un'identità universitaria con il nome scelto dalla persona trans che permette di non doversi ogni giorno scontrare con outing continui: ci sono gli appelli agli esami, ci sono appelli di presenza e fogli firme che girano tra i banchi dove tutti leggono nome e cognome. Senza il cambio di nome in università è impossibile nascondere la propria condizione di persona transessuale e quindi evitare la transfobia di compagni di corso ed esaminatori.

IN CARCERE
Il carcere è un ambiente estremamente rigido per quanto riguarda la divisione di genere. Ci sono reparti per uomini, reparti per donne. L'Italia non si è ancora chiesta che ne dovrebbe essere delle persone transessuali. Chi finisce più spesso in carcere (o, peggio, nei CIE) sono le transessuali MtF, spesso straniere, spesso prostitute, che compiono piccoli reati.
In carcere non sono garantiti l'accesso ad abiti adeguati, al make up e la continuazione della terapia ormonale, perché le straniere spesso non si riferiscono alla sanità italiana ma al fai da te, quindi mancano di quella autorizzazione che permetterebbe di somministrare ormoni cross sex. Il personale carcerario non ha una formazione adeguata per rapportarsi alle persone transessuali, che sempre più spesso vengono relegate a zone d'isolamento, perché é più facile metterle in una scatola isolata piuttosto che educare la popolazione carceraria, è più facile ritenere problema la transessualità di una minoranza piuttosto che la non educazione della maggioranza. Frequentemente alle transessuali detenute sono concesse ora d'aria e uso degli spazi comuni in momenti diversi da quelli degli altri detenuti e, proprio per questo motivo, spesso, non è loro garantita nemmeno la possibilità di accedere all'istruzione, ai corsi di formazione e ai lavori carcerari, rendendo di fatto le carceri non luogo di rieducazione, ma luogo di punizione ancor più dura per chi è portatore di diversità.

DIVERSITÀ LAVORO
Esiste un progetto di imprenditoria sociale, diversità lavoro, dedicato a persone con disabilità e iscritte alle categorie protette, persone di origine straniera e persone transgender.
Ad oggi, 25 giugno 2014, ci sono 31 annunci di lavoro pubblicati, tutti da grandi multinazionali che avrebbero la possibilità di assumere numerose persone. Tolti 3 stage e 2 proposte riguardanti uno specialista Apple e un operatore customer services, tutte le ricerche sono rivolte a persone con alta e specifica formazione, difficilmente compatibile con il profilo medio di una persona transessuale. 

Qualche esempio:

Junior Credit Risk Management: candidati ideali sono neolaureati con ottimi voti (minimo 105/110) alla specialistica in Economia o Finanza e con età non superiore a 25 anni.

Foster Wheeler - Cerca Designer Ricerchiamo giovani con laurea triennale o diploma tecnico da inserire nell'area dell'Ingegneria nei ruoli di Civil Designer, Electrical Designer, Piping Designer.

Allianz Attuario Junior: Laurea in Matematica, Fisica o Scienze Statistiche ed Attuariali

Commerciale interno Enti Pubblici: l/la candidato/a ideale, in possesso di una laurea preferibilmente in materie giuridiche, ha già maturato una breve esperienza all’interno della pubblica amministrazione o in ambito legale.

Michelin: Laureata/o preferibilmente con indirizzo Marketing

Mapei: Tecnico di Laboratorio Laurea triennale in Chimica

Ad oggi non esistono reali progetti di inserimento per persone transessuali. Mi è capitato di parlare con una selezionatrice del Leroy Merlin durante un career forum, quando l'azienda era tra le aderenti al progetto diversità lavoro e non sapeva nemmeno di cosa si trattasse. Non è prevista formazione riguardo le diversità all'interno delle multinazionali aderenti al progetto.
I centri per l'impiego, che dovrebbero essere il primo luogo dove recarsi in caso di disoccupazione, sono impreparati riguardo la transessualità, che è cosa che non li riguarda mentre compilano i moduli con i dati anagrafici. Chissà se si domandano se la genderizzazione del lavoro italiana può essere un problema per noi. Persino sul sito di diversità lavoro, che dovrebbe essere attento alle tematiche di genere compare un annuncio di “ricerca addettA alla segreteria”, i datori di lavoro sono abituati ad attribuire posti di lavoro con criteri sessisti, quindi il curriculum di una donna transessuale, per il centro per l'impiego uomo, potrebbe essere consultato per la ricerca di carpentieri o idraulici, viceversa, quello di un ragazzo FtM per la ricerca di badanti, segretarie o commesse, rigorosamente di bella presenza. Comunque il problema non si pone, non conosco nessuna persona transessuale che è stata chiamata da un centro per l'impiego per una qualsiasi proposta di lavoro.
Mi fa, però, sorridere il bando UNAR dello scorso dicembre, dedicato alla creazione sportelli per l'informazione, il counceling e il sostegno per persone transgender, che richiedeva servizio di accompagnamento presso strutture sanitarie e centri per l'impiego. Si manda un esperto a litigare con gli addetti agli sportelli piuttosto che fare formazione per l'accettazione delle diversità? O forse pensano che non sappiamo come funzionano ospedali e centri per l'impiego, per cui applicano le stesse prassi usate per i profughi, che hanno bisogno sia di interpreti che di capire come funzionano le cose in Italia? O forse è solo un ulteriore servizio pensato per quella fetta di transessuali straniere che si prostituiscono e che non vogliono vedere per strada?

Non a caso ho deciso di includere quel breve intervento di Francesca Eugenia Busdraghi, attivista che ha sempre messo il lavoro come prima necessità per le persone transessuali. Francesca proponeva sgravi fiscali per chi assume una persona transessuale, cosa che, in pratica, viene fatta di già con giovani, persone disoccupate da 24 mesi, lavoratori in mobilità, ex detenuti. Lo sgravio fiscale è una misura tampone che vuole mettere un tappo ad una situazione d'emergenza.
Altra misura che può essere d'emergenza è l'inserimento nelle categorie protette, che elenca ad oggi, oltre agli Invalidi, vedove ed orfani di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio e profughi italiani rimpatriati, cioè persone che improvvisamente si sono trovate senza reddito. Verso proposte come queste è sempre stato eretto un muro da parte di chi dice di voler proteggere le persone transessuali perché creare diversità di trattamento, tutele particolari (proteggere una categoria discriminata per come la vedo io!), significa chiamarle diverse e toglierle dalla schiera dei normali. Bisogna fare cultura, dicono! E allora, mi chiedo io, dov'è la cultura riguardante lavoro e persone transessuali in Italia? Perché nel Regno Unito vengono fatte periodiche statistiche sulla popolazione transessuale, sono state create nuove leggi e prassi, implementate se ritenute insufficienti, mentre in Italia non sappiamo nemmeno qual'è il tasso di disoccupazione delle persone transessuali nel 2014?

Cito un tratto della prefazione della strategia per l'equità di trattamento per le persone transgender inglese, del 2011, che pone l'attenzione sulle barriere che impediscono alle persone transgender (e non LGBT), di accedere all'istruzione, al lavoro, al servizio sanitario: “questa è l'era in cui consegnamo la transfobia al passato, per costruire una forte, moderna e giusta Inghilterra per tutti”.

Quanto è utile alle persone transessuali una legge contro la transfobia se non sappiamo chi sono le persone transessuali, quali problemi hanno, quali ostacoli trovano? Come possiamo creare una società di eguali se continuiamo a concentrarci sulle persone discriminate invece che sulle barriere mentali e materiali che impediscono le pari opportunità per tutti i cittadini? È più transfobico un datore di lavoro ignorante o un sistema che preferisce non rilevare il problema piuttosto che copiare da altri stati che hanno già sperimentato ottime prassi di inclusione?

leggi su intersexioni

Il DDL405 non affronta il tema lavoro, ma la misura che prevede la possibilità di avere documenti coerenti con il proprio aspetto, quando la persona direttamente interessata lo ritiene opportuno, aiuterebbe molte persone ad inserirsi più facilmente nei contesti lavorativi



Firma la petizione  http://goo.gl/BFjLxD