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giovedì 20 marzo 2014

Laura: Chiedo troppo?

Condivido con enorme piacere lo scritto di Laura, persona che stimo molto e che ha saputo adattarsi a questa società binaria nel solo modo concesso a chi ha una famiglia che vuole stare assieme nonostante la transizione: "Io non intendo sottopormi a questo intervento, e se lo facessi paradossalmente, una volta riconosciuta donna "per legge", non potrei essere più sposata con mia moglie, anche se sia lei, sia io, siamo coniugi da ventidue anni e non abbiamo deciso di separarci: infatti viviamo insieme, come prima, anzi meglio, perché io ora sto bene, e prima no. Quindi mi tengo i miei documenti con un nome maschile".


Io mi chiamo Laura, o meglio: tutti mi chiamano così.
Sono una rotonda signora di quaranta e qualcosa anni (non si chiede l'età di una signora), non appariscente, porto capelli corti e vesto spesso un po' come un uomo, ma sono una donna e nessuno si sogna di metterlo in dubbio.
Ho una compagna, un figlio e un cane; viviamo tutti insieme.
Sono laureata in Economia, da oltre un quarto di secolo. Prima dell'università ho studiato all'istituto tecnico, e ho un diploma di ragioniere, col quale già durante gli studi universitari facevo pratica professionale.
Dopo la laurea ho insegnato per qualche anno: ragioneria e tecnica bancaria.
Poi ho scelto la libera professione, oggi assisto alcune grandi imprese italiane e straniere negli aspetti che riguardano il bilancio, i principi contabili , il controllo direzionale, la pianificazione aziendale, l'adeguatezza alle molte normative che riguardano le grandi società e tante altre cose ancora.
Anche la mia compagna ha un ottimo lavoro, nostro figlio invece studia.
Sì: nostro figlio, perché la mia compagna è mia moglie e il ragazzo, giovane adulto, è figlio di entrambe.
Io sono il padre. Per la legge io sono un uomo.
Se io volessi condividere ciò che oggi viene richiesto, per avere dei documenti conformi al mio aspetto e al mio ruolo sociale dovrei sottopormi ad un intervento chirurgico molto invasivo.
Io non intendo sottopormi a questo intervento, e se lo facessi paradossalmente, una volta riconosciuta donna "per legge", non potrei essere più sposata con mia moglie, anche se sia lei, sia io, siamo coniugi da ventidue anni e non abbiamo deciso di separarci: infatti viviamo insieme, come prima, anzi meglio, perché io ora sto bene, e prima no.
Quindi mi tengo i miei documenti con un nome maschile.
In molti casi questo non rappresenta un problema, ma in molti altri casi invece sì.

A volte si tratta di contrattempi, ancorché fastidiosi, come quella volta che dovetti restare in un posto di blocco per un'ora a spiegare che non avevo rubato né l'automobile né i documenti, ma che era tutto mio.
Oppure quando al seggio elettorale c'è qualcuno che tenta di dirottarmi alla coda delle femmine, e io devo dire che va bene dove sono.
Non è che va bene: è la legge.
Altre volte è davvero snervante, come quando rifiutano di consegnarti una raccomandata in posta.
Però per me tutto sommato si tratta di modesti disagi.
E tuttavia io l'ho firmata, questa petizione.
Perché per una persona fortunata come me, che tutto sommato può anche essere una donna e vivere coi documenti di un uomo, ce ne sono altre dieci? cento? mille? che invece sono più giovani e più fragili, non hanno un lavoro e non lo troveranno con una carta di identità che racconta una verità diversa da quella che oggettivamente si presenta, e alimenta i pregiudizi.
"Le faremo sapere".
Perché un'impresa dovrebbe gestire tutte le difficoltà di un dipendente che ha un nome ma ne sembrerebbe un altro? Spiegare ai superiori, convincere, e perché?
Ci sono un sacco di altri giovani che cercano lavoro, e che questo problema non lo hanno.
E non importa se la persona transgender che hanno di fronte è più brava.
Un percorso di genere è tutto a ostacoli, per nessuno è una strada in discesa, e neppure in piano: è una salita, un viaggio scomodo, in cui si perdono molti dei compagni di viaggio che non comprendono.
Questo tutti noi l'abbiamo messo in conto sin dal principio, e comunque non avremmo potuto non metterlo in conto, anche se il conto è decisamente a nostro svantaggio, perché non è una scelta.
Non c'era scelta: io sembravo un uomo, ma ero una donna, l'unica differenza di oggi rispetto a ieri è che io, oggi, mi assomiglio come donna: tutti lo vedono che sono una donna, e così finalmente anche io esisto.
Sembrava, all'inizio, che fosse dannatamente complicato. Complicato oggettivamente. Mi dicevo: ma come potrò mai fare in modo che il mio aspetto sia quello di una donna?
In realtà è stato molto più semplice di quanto potessi immaginare, ed è anche andato tutto molto oltre le mie migliori e ottimistiche previsioni.
No, non è stato difficile rendere il mio aspetto quello di una donna, è stato molto più difficile far capire a chi mi stava intorno perché io lo desiderassi e lo stessi facendo.
Dopo tutta questa fatica, e questo dolore, è inaccettabile che io debba nelle occasioni in cui i cittadini esercitano diritti o si assoggettano a doveri, dover raccontare a tutti, in un sol secondo, tutta la mia storia di fatica.
Vedere quegli sguardi così tanto benevoli, prima, al mio aspetto di mammina che va a prendere i figlioletti a scuola, trasformarsi in curiosità morbosa, in occhiate oblique, in cui posso leggere distintamente il pregiudizio ma - soprattutto - il giudizio.
Il giudizio sulla mia vita, e sulla mia storia regalata al primo sconosciuto che passa, non si capisce bene il perché.
Voglio essere semplicemente una signora come tante, e ci sono quasi riuscita.
Per riuscirci sino in fondo, mi serve una carta d'identità come quella degli altri cittadini: col mio nome, quello con cui mi chiamano, e che va d'accordo con ciò che io sembro e soprattutto io sono.
Chiedo troppo?






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