Di seguito quanto avrei detto alla tavola rotonda del 5 giugno al Pride Park se la modalità l'avesse consentito*:
Il motto del Roma pride di quest'anno è “ci vediamo fuori” e io vorrei aprire il mio breve intervento citando alcuni tratti dal primo editoriale del FUORI!, rivista dell'omonimo collettivo, acronimo di Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, che vide la luce nel 1971.
“Siamo usciti fuori, ma ad una condizione, fondamentale, autenticamente rivoluzionaria: siamo usciti con la pretesa di essere noi stessi, con la volontà di ritrovare la nostra vitale identità in strutture in cui l'altro ha assorbito, modificato, reificato qualsiasi possibilità espressiva del sé. E di colpo, senza soluzioni intermedie, senza tappe in momenti o verifiche riformiste, abbiamo scoperto in noi il diritto alla vita, che è prima di tutto il diritto al nostro corpo”.
[..] Abbiamo proclamato il diritto a parlare di noi e noi soltanto di omosessualità. E abbiamo finalmente capito che la nostra “anormalità” è un privilegio nel momento stesso in cui, scopertene le radici nell'oppressione generalizzata, ci ha permesso l'acquisizione immediata di una coscienza che va ben al di la del problema omosessuale.
[..] L'omosessuale, no, non ha ruoli gratificanti: è omosessuale e basta. Il professore è compentente, sempre. Il professore omosessuale travia i ragazzi. L'etichetta degli altri assorbe tutto, qualunque ruolo dell'omosessuale è assorbito dalla sua omosessualità.
[..] La mediazione culturale per l'omosessuale risulta così paurosamente e totalmente nulla poiché si traduce nella ricerca di approvazione da parte di quello stesso establishment che ha creato e che mantiene le condizioni oppressive e non può essere altrimenti: chi ha urgenze vitali proprie ma ne richiede la soluzione ad altri, ai competenti, confessa la sua paura ed accetta implicitamente la sua condizione di inferiorità.
Oggi la persona transessuale è prima di tutto “utente”, che si rivolge a strutture convenzionate e psicologi e psichiatri per avviare il percorso di transizione. Poi diventa “assistitito” di un qualche avvocato che dovrà accompagnarla a più udienze per le istanze di autorizzazione all'intevento chirurgico o di rettifica dei dati anagrafici. Poi è "paziente” di medici chirurghi ed endocrinologi non sempre sufficientemente competenti.
In tanti parlano al posto della persona soggetto della transizione: psicologi, giuristi, avvocati, endocrinologi, chirurghi, giornalisti, ma nei fatti le persone transessuali che parlano di sé, come ai tempi dell'editoriale del FUORI! sono pochissime e sono pochissime perché oggi, in Italia, dirsi transessuale significa perdere il lavoro, non riuscire a trovare una casa in affitto, rischiare di perdere gli affetti, venire additati, essere sottoposti a mobbing, dover essere i migliori per essere trattat* come i mediocri. Oggi, in Italia a denunciare lo stato di transessualità delle persone è lo stato stesso, che nega la possibilità di cambiare i documenti quando la persona lo desidera e che costringe ad anni di inevitabile stigma, che ormai fa parte di quella moderna via crucis, fatta di stazioni predeterminate scandite da perizie, sentenze e liste d'attesa, che porteranno alla rinascita della persona nei panni dell'altro sesso.
La condizione delle persone transessuali in Italia oggi è di persone oppresse ed io ho ho deciso di sostenere il disegno di legge 405 con una petizione e con una pagina web, disegnodilegge405.blogspot.it, spazio aperto ai contributi di tutt*, perché questo DDL si prefigge lo scopo di eliminare le due più grandi oppressioni che colpiscono le persone transessuali ed intersessuali: l'impossibilità di autodeterminarsi nel nome e nel sesso scegliendone uno coerente al proprio aspetto ed il mancato divieto di intervenire chirurgicamente sul sesso dei bambini neonati nati con genitali atipici.
Il documento politico del pride cita donne, migranti, diversamente abili, lavoratori precari e sfruttati, Rom, credenti di minoranze religiose, giovani e studenti quali soggetti che più facilmente rischiano di essere discriminat*, specialmente nel mondo del lavoro e soprattutto in questo periodo, perché nei periodi di crisi i “lavoratori desiderabili” abbondano. Le persone transessuali, per prime, sono vittime di pluridiscriminazioni, specie se appartengono anche ad una delle sopracitate categorie, faticano a trovare lavoro, sono costrette ad accettare lavori poco desiderabili o a condizioni inaccettabili, faticano a trovare una casa o a terminare gli studi, stentano ad inserirsi nel contesto sociale e politico, non avendo alcuna legge che le tuteli.
Sempre sul FUORI! possiamo leggere: “Nei fatti la libertà che ci garantisce la legge è la libertà di essere degli esclusi, degli oppressi, dei repressi, dei derisi, degli oggetti di violenza morale e spesso fisica”, citazione tremendamente attuale per tutte le persone gender non conforming.
La possibilità di cambiare identità quando lo si ritiene opportuno significherebbe non dover dare spiegazioni ogni volta che ci si trova a mostrare un documento, significa poter trovare un lavoro con la stessa difficoltà degli altri, significa poter emettere fatture senza doversi giustificare, significa poter considerare l'idea di tenersi quel corpo che la legge vuole veder adeguato a canoni sessisti così com'è, significa iniziare a parlare della transizione come percorso di liberazione da maschio o femmina a sé stess* e non come passaggio da un sesso all'altro, senza che ci sia obbligo di sottoporsi a terapie ormonali o chirurgiche.
Finché sarà lo stato a denunciarci come transessuali ogni volta che mostriamo un documento, permettendo alle persone transfobiche di indentificarci ed escluderci, finché non ci sarà alcuna legge a tutela delle persone trans* che "non passano" e finché le persone intersessuali saranno operate coattivamente ai genitali saremo tutt* più concentrat* a condurre un viaggio verso l'inivisibilizzazione che verso la liberazione.
Dedicato a:
Vittoria, che anche se prossima alla laurea, sta lottando per introdurre il doppio libretto nell'ateneo Catanese;
Giulia, che nonostante vivesse già al femminile da tempo ha dovuto aspettare due anni per avere il nullaosta della psicologa alla terapia ormonale;
Laura, Leda, Alessandra vittime di mobbing sul lavoro;
Lele, Eleonora, Elena in causa con chirurghi per negligenze durante gli interventi;
Elisa, Andreas, Arianna che nonostante gli sforzi non riescono a trovare lavoro;
Barbara, che non trovando lavoro vive autoproducendo i libri che scrive;
Valentina e Matteo, che aspettano il posto fisso per iniziare la transizione;
Gabrielle, che ha preferito trasferirsi in Inghilterra;
Enrico, che si è visto allungare i tempi in tribunale perché il CTU si è rifiutato di lavorare in gratuito patrocinio;
Aurora e Samantha, che dopo anni di bullismo devono ritrovare fiducia in questa società per poter ricominciare a vivere.
A tutti quell* che sono usciti fuori o lo faranno presto.
Allo spirito partigiano, che 70 anni fa liberò Roma, senza aver aspettato "favorevoli condizioni politiche" per schierarsi dalla parte degli oppressi.
Firma la petizione http://goo.gl/BFjLxD
* la tavola rotonda è stata scandita da domande molto dirette, quindi tutt* hanno risposto alle domande, magari divagando un po', senza fare un vero e proprio discorso. I concetti qui esposti sono comunque più o meno tutti stati toccati dal mio intervento o da quell* di altr* presenti, ma tenevo comunque, qui sul blog, ad esporre il ragionamento per come l'avevo pensato.
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